Reato di Omicidio del consenziente (articolo 579 codice penale)

1. Introduzione al reato di Omicidio del consenziente

L’omicidio del consenziente è un reato previsto dall’articolo 579 del Codice Penale, collocato nel Libro II, Titolo XII, Capo I, Sezione I, che disciplina i delitti contro la persona e, in particolare, i delitti contro la vita. Si verifica quando una persona viene uccisa con il proprio consenso, ma la legge punisce comunque l’autore del fatto. Il legislatore considera la vita umana un bene indisponibile, vietando ogni forma di eutanasia attiva volontaria.

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2. Testo dell’articolo 579 codice penale: condotte punite e pene previste

Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni.

Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61.

Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso:

1) contro una persona minore degli anni diciotto;

2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;

3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.

3. Note procedurali dell’articolo 579 codice penale

  • Arresto in flagranza:
  • Se il reato rientra nell’ipotesi del primo comma, l’arresto in flagranza è facoltativo ai sensi dell’art. 381 c.p.p.
  • Se il reato rientra nell’ipotesi del terzo comma, l’arresto in flagranza è obbligatorio, come previsto dall’art. 380 c.p.p.
  • Fermo di indiziato di delitto:
  • Il fermo di indiziato di delitto è consentito in base all’art. 384 c.p.p., qualora vi siano i presupposti di legge.
  • Misure cautelari personali:
  • Sono ammesse misure cautelari personali, secondo quanto disposto dagli artt. 280 e 285 c.p.p., trattandosi di un delitto grave.
  • Intercettazioni telefoniche e ambientali:
  • Sono consentite come mezzo di ricerca della prova ai sensi dell’art. 266 c.p.p.
  • Competenza dell’autorità giudiziaria:
  • Il reato di omicidio del consenziente è di competenza della Corte d’Assise, come previsto dall’art. 5, lett. b, c.p.p., analogamente a quanto stabilito per l’omicidio volontario (art. 575 c.p.).
  • Procedibilità:
  • Il reato è procedibile d’ufficio, in base all’art. 50 c.p.p., senza necessità di querela da parte dei familiari della vittima.
  • Udienza preliminare:
  • È prevista e deve svolgersi secondo le regole stabilite dagli artt. 416 e 418 c.p.p.
  • Termini di custodia cautelare:
  • Secondo l’art. 303 c.p.p., il termine massimo di custodia cautelare in fase di indagine è:
    • Medio per l’ipotesi del primo comma.
    • Lungo, con possibilità di proroga, per le ipotesi più gravi previste dal terzo comma, in analogia con l’omicidio volontario (artt. 575 e ss. c.p.).
  • Bene giuridico tutelato:
  • Il reato tutela la vita umana, considerata un bene indisponibile.
  • Tipologia del reato:
  • Delitto comune: può essere commesso da chiunque.
  • Forma di esecuzione:
  • Esecuzione libera, senza necessità di specifiche modalità per la sua realizzazione.
  • Struttura del reato:
  • Reato a forma vincolata: si perfeziona con l’evento morte della vittima consenziente.
  • Natura del reato:
  • È un reato istantaneo, che si consuma nel momento in cui si verifica il decesso della vittima.
  • Prescrizione:
  • La prescrizione è di 15 anni per l’ipotesi del primo comma.
  • Per le ipotesi più gravi previste dal terzo comma, si applicano le disposizioni relative all’omicidio volontario (art. 575 c.p.), con termini più lunghi.
  • Elemento soggettivo:
  • È richiesto il dolo generico, ossia la consapevolezza e volontà di cagionare la morte della persona consenziente.
  • Tentativo:
  • È configurabile, quindi punibile, se l’azione diretta a uccidere il consenziente non raggiunge l’evento morte.

4. Esempi pratici del reato di Omicidio del consenziente

1. Il caso di Giuseppe e sua moglie Elena

Giuseppe, un uomo di 70 anni, assiste da anni la moglie Elena, affetta da una malattia neurodegenerativa in fase avanzata. In passato, quando era ancora lucida, Elena aveva espresso il desiderio di non voler prolungare la propria sofferenza. Una sera, convinto che fosse ciò che lei avrebbe voluto, Giuseppe le somministra una dose letale di farmaci. Tuttavia, nel processo emerge che la volontà di Elena non era stata espressa in maniera chiara e attuale al momento del fatto. Il tribunale lo condanna per omicidio volontario, escludendo la configurabilità dell’omicidio del consenziente, poiché il consenso della vittima non era certo, esplicito e persistente fino al momento della morte.

2. Il caso di Marco e il fratello Lorenzo

Lorenzo, fratello di Marco, soffre di una grave depressione e più volte ha parlato di togliersi la vita. Un giorno, in un momento di estrema disperazione, chiede a Marco di aiutarlo a morire. Marco, convinto di esaudire il desiderio del fratello, lo soffoca nel sonno. In tribunale, però, emerge che Lorenzo non aveva mai espresso un consenso serio e consapevole, e che la sua volontà era fortemente influenzata dalla sua patologia psichiatrica. Per questo motivo, Marco viene condannato per omicidio volontario, poiché in assenza di una prova chiara ed univoca del consenso non si può applicare l’art. 579 c.p.

3. Il caso di Antonio e l’amico Francesco

Francesco è affetto da una malattia incurabile e chiede al suo migliore amico, Antonio, di aiutarlo a morire. Antonio, inizialmente titubante, accetta e gli somministra un’iniezione letale. Tuttavia, durante il processo emerge che Francesco, poche ore prima della somministrazione, aveva espresso dubbi sulla propria decisione. Nonostante il precedente accordo tra i due, il consenso della vittima non era perdurante fino al momento del fatto, come richiesto dalla legge per configurare l’omicidio del consenziente. Di conseguenza, Antonio viene condannato per omicidio volontario, in quanto ha agito senza la certezza di un consenso attuale e inequivocabile.

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5. Massime della Cassazione, con spiegazione, sul reato di Omicidio del consenziente

1. Il consenso della vittima deve essere chiaro e persistente

Massima:

“Affinché si configuri un’ipotesi di omicidio del consenziente, e non di omicidio volontario, è necessario che il consenso della vittima sia serio, esplicito, non ambiguo e perdurante sino al momento della commissione del fatto, in guisa da esprimere un’evidente volontà della stessa di morire, la cui prova deve essere univoca, chiara e convincente, in considerazione dell’assoluta prevalenza da riconoscersi al diritto personalissimo alla vita, non disponibile ad opera di terzi.”

(Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 747 del 19 aprile 2018)

Spiegazione:

Per poter parlare di omicidio del consenziente e non di omicidio volontario, la vittima deve aver espresso chiaramente e in modo inequivocabile la volontà di morire. Questo consenso deve essere attuale, cioè valido fino al momento in cui viene eseguito l’atto omicida. Se il consenso è stato espresso in passato ma non è più verificabile al momento del fatto, il reato configurabile potrebbe essere omicidio volontario.

2. L’errore sul consenso può far scattare l’omicidio volontario

Massima:

“In tema di omicidio del consenziente, il consenso è elemento costitutivo del reato, sicché ove il reo incorra in errore circa la sussistenza del consenso trova applicazione la previsione dell’art. 47 c.p., in base al quale l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso, nel caso di specie individuabile nel delitto di omicidio volontario.”

(Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 12928 del 12 novembre 2015)

Spiegazione:

Se una persona crede erroneamente che la vittima abbia dato il proprio consenso a essere uccisa, ma questo consenso in realtà non esiste o non è valido, il reato si trasforma in omicidio volontario. L’errore, anche se in buona fede, non elimina la responsabilità penale dell’autore del fatto.

3. La mancanza di prove certe sul consenso fa prevalere il diritto alla vita

Massima:

“È configurabile il delitto di omicidio volontario, e non l’omicidio del consenziente, nel caso in cui manchi una prova univoca, chiara e convincente della volontà di morire manifestata dalla vittima, dovendo in tal caso riconoscersi assoluta prevalenza al diritto alla vita, quale diritto personalissimo che non attribuisce a terzi (nella specie ad un familiare) il potere di disporre, anche in base alla propria percezione della qualità della vita, dell’integrità fisica altrui.”

(Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 43954 del 17 novembre 2010)

Spiegazione:

Se non si riesce a dimostrare con certezza che la vittima ha espresso il desiderio di morire, allora si applica la regola generale secondo cui la vita è un bene indisponibile. Questo significa che nessuno, nemmeno un familiare stretto, può decidere di porre fine alla vita di un altro sulla base della propria percezione della sua qualità di vita.

4. Il consenso deve essere presente fino all’ultimo momento

Massima:

“L’omicidio del consenziente presuppone un consenso non solo serio, esplicito e non equivoco, ma perdurante anche sino al momento in cui il colpevole commette il fatto.”

(Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 32851 del 6 maggio 2008)

Spiegazione:

Anche se una persona ha dichiarato di voler morire in passato, ciò non basta per configurare l’omicidio del consenziente. Il consenso deve essere attuale e valido fino all’ultimo istante. Se la vittima cambia idea, anche solo poco prima dell’atto, e il suo rifiuto non viene rispettato, l’omicidio non sarà considerato “del consenziente” ma volontario.

5. Il consenso non è valido se la vittima ha disturbi psichici

Massima:

“È configurabile il delitto di omicidio volontario, e non l’omicidio del consenziente, nel caso in cui il soggetto passivo sia affetto da una patologia psichica che incida sulla piena e consapevole formazione del consenso alla propria eliminazione fisica: in difetto di elementi di prova univoci circa la effettiva e consapevole volontà della vittima di morire, deve, infatti, attribuirsi prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e volere della vittima, e della percezione che altri possono avere della qualità della sua vita.”

(Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 13410 del 28 marzo 2008)

Spiegazione:

Se la vittima soffre di disturbi psichici che influenzano la sua capacità di decidere in modo consapevole, il suo consenso a essere uccisa non è valido. In questi casi, anche se la persona ha manifestato l’intenzione di morire, il reato sarà considerato omicidio volontario e non omicidio del consenziente.

6. Differenza tra omicidio del consenziente e istigazione al suicidio

Massima:

“Il discrimine tra il reato di omicidio del consenziente e quello di istigazione o aiuto al suicidio va individuato nel modo in cui viene ad atteggiarsi la condotta e la volontà della vittima in rapporto alla condotta dell’agente: si avrà omicidio del consenziente nel caso in cui colui che provoca la morte si sostituisca in pratica all’aspirante suicida, pur se con il consenso di questi, assumendone in proprio l’iniziativa, oltre che sul piano della causazione materiale, anche su quello della generica determinazione volitiva.”

(Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 3147 del 12 marzo 1998)

Spiegazione:

Se una persona aiuta qualcuno a togliersi la vita (ad esempio fornendo i mezzi per il suicidio), si configura il reato di istigazione o aiuto al suicidio. Se invece è l’autore stesso a eseguire materialmente l’atto omicida, si tratta di omicidio del consenziente.

7. L’attenuante dei motivi di valore morale o sociale non si applica all’omicidio del consenziente

Massima:

“Per il riconoscimento dell’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale non è sufficiente che i motivi del reato siano genericamente apprezzabili o positivamente valutabili da un punto di vista etico o sociale. […] In tema di eutanasia, le discussioni tuttora esistenti sulla sua condivisibilità sono sintomatiche della mancanza di un generale suo attuale apprezzamento positivo, risultando anzi larghe fasce di contrasto nella società italiana contemporanea.”

(Cass. pen., Sez. I, sentenza n. 2501 del 22 febbraio 1990)

Spiegazione:

Il fatto che l’omicidio del consenziente possa essere motivato da ragioni etiche o sociali (ad esempio, la volontà di alleviare sofferenze estreme) non esclude la responsabilità penale. La legge italiana non riconosce come attenuante il valore morale di un atto del genere, poiché il dibattito sull’eutanasia è ancora aperto e non esiste un consenso unanime in merito.

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6. Conclusioni sul reato di Omicidio del consenziente

L’omicidio del consenziente è un reato complesso che si distingue dall’omicidio volontario solo se la vittima ha espresso una volontà chiara, esplicita e persistente di morire. La legge impone requisiti rigorosi affinché il consenso sia valido: deve essere attuale fino al momento dell’atto, non deve derivare da una condizione di disturbo psichico e deve essere provato in modo univoco e convincente. In assenza di queste condizioni, il reato verrà trattato come omicidio volontario, con conseguenze molto più gravi per l’imputato.

Anche l’errore sulla sussistenza del consenso non esclude la punibilità, ma può modificare l’inquadramento giuridico del fatto. Inoltre, l’intento altruistico o morale di alleviare le sofferenze della vittima non rappresenta un’attenuante legalmente riconosciuta. La distinzione tra omicidio del consenziente e aiuto al suicidio dipende dal livello di intervento dell’autore del fatto: se l’imputato esegue direttamente l’atto letale, il reato sarà omicidio del consenziente, mentre se si limita a fornire supporto alla vittima nella sua azione suicidaria, si applicherà l’art. 580 c.p.

Vista la delicatezza e la complessità di questi casi, è fondamentale affidarsi a un avvocato penalista esperto per difendere i propri diritti e valutare correttamente la propria posizione legale. Se hai bisogno di assistenza o di una consulenza approfondita, visita la pagina “Contatti” per richiedere supporto legale.